Cabiria è arrivata a fare il mestiere più antico del mondo (la prostituta) spinta dalla necessità, come conseguenza di una vita misera. Ma Cabiria, al contrario della sua amica Wanda, non ha niente della battona romana: fisicamente sembra la caricatura femminile di Charlot, è piccola, gracile e impacciata. Cabiria è ingenua, spontanea, cerca affetto negli occhi di tutti gli uomini che incontra, nella speranza di trovare un giorno quello giusto, che la sposi e le permetta un’esistenza rispettabile.
Ne I fratelli Karamàzov, Fedor Dostoevskij affermava che gli uomini spesso deridono ciò che è bello e buono. Una citazione che sembra rispecchiare la storia di Cabiria: dopo varie disavventure, la protagonista incontra un uomo che finge di volerla sposare. Convinta di aver finalmente trovato l’occasione giusta, la donna vende quel poco che possiede, affidandosi poi al fidanzato. In realtà, quest’ultimo vuole solo impossessarsi del suo denaro e per farlo tenta anche di ucciderla, fermandosi solo all’ultimo istante. Dopo l’ennesimo schiaffo metaforico ricevuto, Cabiria medita il suicidio.
Considerato uno dei capolavori di Federico Fellini, Le notti di Cabiria vinse l’Oscar nel 1958 come miglior film straniero. Merito della splendida Giulietta Masina nei panni di Cabiria, che canta e balla, cercando di allontanare per un momento la solitudine: nel grande circo che è l’umanità, è ancora possibile sorridere e affrontare con successo le avversità, vincendole.
Anche se qualcuno ha tentato di vedere nel film una certa frammentarietà, la struttura narrativa è armoniosa, secondo Morando Morandini «una sinfonia i cui diversi tempi si allacciano l’uno all’altro, distaccati ma complementari, per analogia o per contrasto, tutti convergenti alla definizione sempre più approfondita del personaggio principale e del suo destino».