C’era una volta il West: c’era, ora non più. Sin dal titolo, è evidente l’intenzione commemorativa della quarta pellicola di Sergio Leone: raccontare il crepuscolo di un mondo, dei suoi miti, dei suoi anti-eroi. La modernità incalza, sbuffa vapore e morde la strada come un treno impegnato in una corsa sui binari. Metafora non casuale, perché sono proprio la ferrovia e le sue implicazioni (sociali, politiche, economiche) lo spunto di cui Leone si serve per il grande affresco di C’era una volta il West.
Il ricco (e moribondo) industriale Marton (Gabriele Ferzetti) vuole veder costruito l’ultimo tronco della linea che unirà la costa orientale degli USA a quella occidentale prima che la tubercolosi finisca col divorargli le ossa. Assolda uno spietato killer, Frank (Henry Fonda), per eliminare in fretta e furia tutti gli “ostacoli”: tra questi, Brett McBain, immigrato irlandese possessore di alcuni terreni che fanno gola a Morton e per questo trucidato assieme ai tre figli. Gli uomini di Frank responsabili del delitto hanno agito indossando uno spolverino che è il marchio di fabbrica del pericoloso evaso Cheyenne (Jason Robards): qualcuno, dunque, sta cercando di incastrarlo. È il misterioso Armonica (Charles Bronson) a mettergli la pulce nell’orecchio, subito dopo aver fatto fuori i tre uomini: Armonica (così chiamato perché accenna spesso un motivo con la sua armonica) è sulle tracce di Frank da tempo, ha un vecchio conto da saldare.
Dopo la morte di McBain, Morton e Frank credono di avere via libera, e invece no: vien fuori che l’uomo era segretamente sposato con Jill (Claudia Cardinale), la quale perciò ora possiede la terra. E proprio nella sua fattoria si svolge il duello finale tra Frank e Armonica, con i flashback a spiegare il mistero dell’odio del secondo per il primo. La resa dei conti avviene nel solito, “vecchio modo”, con le pistole a parlare. Eppure, è anche un modo (filmicamente) nuovo, quello di Leone, che dilata i tempi, lavora sugli archetipi e gli stereotipi del genere, mescola storia, politica (la vena anti-capitalista) e metafisica (il tema di Armonica firmato da Ennio Morricone, le sfasature temporali) per esasperare la sua personale retorica western, figlia non tanto di John Ford quanto del teatro (da Shakespeare alla commedia dell’arte).
Armonica è un buono “per sbaglio”, l’implacabile angelo vendicatore; Cheyenne un volgare ladro e assassino dal cuore d’oro; Frank è “il cattivo” che cerca di aggiornarsi al nuovo corso. Nel duello finale è ovviamente Armonica a trionfare, ma la sua è una vittoria simile ad un commiato: lui, Cheyenne e tutto quel mondo della frontiera sono relitti, una specie destinata presto all’estinzione. Chi guarda al futuro è Jill: ma non è detto che, sparite le pistole, il denaro non si riveli un’arma ancor più pericolosa.