La scuola come specchio di un paese, e il paese (neanche a dirlo) non ne vien fuori bene. Ispirandosi ai romanzi di Domenico Starnone, ne La scuola, Daniele Luchetti ambienta il confronto-scontro generazionale, ma soprattutto racconta la crisi di un’istituzione, travolta da un vortice grottesco e non-sense. Di questo liceo della periferia romana, colto nell’ultima giornata dell’anno scolastico, più che gli studenti, relegati a comparse, Luchetti racconta gli insegnanti, e ne fa un ritratto impietoso: cinici, svogliati, ignoranti, sono lo specchio di un potere che ha smarrito la sua missione, sclerotizzato nella ripetizione di formule e riti ormai palesemente inadeguati. Un microcosmo inficiato da tic adolescenziali, la cui regressione raggiunge il nadir proprio durante gli scrutini finali, che ben presto degenerano in uno psicodramma, con il vicepreside frustrato per la mancata promozione, la professoressa alle prese con un marito maniaco depressivo, il collega che vorrebbe mandare tutti “a zappare” e la nuova arrivata sull’orlo di una crisi di nervi. Nel marasma di una discussione a tratti persino surreale, si salva il solo il professor Vivaldi (Silvio Orlando), che cerca evitare a tutti i suoi allievi la bocciatura perché vede oltre la logica striminzita ed arida della media voto.
«La scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno», spiega Vivaldi, e fa l’esempio dell’inappuntabile, diligentissimo e insopportabile Astariti: «alla fine gli metto 8, ma vorrei tagliarmi la gola». Per Vivaldi, è altro il lavoro dell’insegnante: recuperare i peggiori, i vari Coffaro, Timballo, Menegozzi, e soprattutto Cardini, che, afflitto da gravi problemi familiari, si esprime solo facendo il verso della mosca. In questa scuola non c’è posto per quelli come lui, e per chi accorda loro fiducia e dialogo, come la professoressa Serini: non è un caso che siano entrambi i “grandi assenti” del film, il primo ridotto ad un’apparizione fantasmatica, e la seconda addirittura “risorta” solo sul finale dal regno dei morti in cui un equivoco (il crollo di un soffitto con annessa scarpa sotto le macerie) l’aveva confinata.
Sullo sfondo di questo caos, la tenera storia d’amore tra Vivaldi (Silvio Orlando) e la collega Majello (Anna Galiena), anche questa tassello di una visione “adolescenziale” del corpo docenti (lei compilava gli orari per potergli stare segretamente vicino). Insomma, la scuola di Luchetti è un non-luogo esistenziale governato da un paradosso: gli studenti rimangono sempre giovani (perché si alternano) e gli insegnanti pure, nel senso che regrediscono. Non se ne esce, insomma, se non accettando l’assurdo: come fa la macchina da presa, sul finale, illustrando in soggettiva l’impossibile volo della mosca-Cardini.