Viaggi nel labirinto dell’inconscio: l’arte dell’animazione di Satoshi Kon

Quando si parla del migliore cinema d’animazione giapponese contemporaneo viene spesso fatto il nome di Satoshi Kon, un autore forse meno noto al grande pubblico (che tende ad associare l’arte dell’animazione cinematografica nipponica alle produzioni dello Studio Ghibli di Miyazaki) ma che, a sei anni dalla sua morte prematura a causa di un cancro, ci sentiamo in dovere di ricordare per annoverarlo tra i più creativi e poliedrici autori di anime di sempre.

Dopo essersi formato a Tokyo presso l’Università di Arte Musashino, Kon ha iniziato a collaborare con diversi autori di manga e film d’animazione, lavorando sia a livello di direzione artistica che di scrittura; Kon svolgerà spesso questo ruolo di sceneggiatore ed il suo interesse nei confronti della letteratura contemporanea, specialmente di fantascienza, emerge dai suoi film, che sono infatti spesso tratti da romanzi di autori suoi connazionali. Tra le collaborazioni che hanno più segnato la sua formazione artistica (a partire dai primi anni ’90), ricordiamo l’importante incontro con Katsuhiro Otomo, celebre creatore di Akira: per lui scrive le storie del manga World Apartment Horror e cura i disegni dell’anime fantascientifico Rojin Z, ma il lavoro che gli concede più libertà d’esprimere la propria arte è il cortometraggio Magnetic rose (prima di tre storie incluse nel film d’animazione antologico Memories, basato su racconti brevi di Otomo), per il quale Kon ha curato disegni e sceneggiatura.

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È a partire da questo lavoro che si può individuare il leitmotiv caratteristico di Kon, quella che potremmo definire la più evidente costante di una filmografia particolarmente variegata: lo scontro (o meglio la sovrapposizione) tra una realtà oggettiva e mondi alternativi, spesso onirici e appartenenti alla sfera dell’inconscio. Kon non prende mai in considerazione un unico piano narrativo, optando per raccontare le sue storie attraverso l’intrecciarsi di momenti di pura concretezza con viaggi narrativi che conducono in profondità nella mente dei protagonisti, mostrandoci dimensioni mentali che assumono le diverse forme del sogno (Paprika), dell’incubo (Perfect blue) o di generiche illusioni (Paranoia agent). Vediamo dunque come il tema viene affrontato nell’eterogenea filmografia di questo visionario autore dell’animazione giapponese.

Magnetic rose (1995)
Primo episodio dell’antologia cinematografica Memories, comprendente episodi tratti da storie ideate da Katsuhiro Otomo, Magnetic rose vede anche la firma di Satoshi Kon, che funge da sceneggiatore e direttore artistico. Come dicevamo, il mediometraggio, pur non essendo un completo prodotto di Kon, presenta una sostanziale tematica che tornerà nei film successivi: l’idea di una realtà costruita su illusioni. In Magnetic rose un gruppo di astronauti incaricati di smaltire rifiuti spaziali sono attirati da un segnale proveniente da una misteriosa struttura orbitante in rovina. Esplorandone l’interno scoprono di trovarsi nella dimora spaziale di una celebre diva della lirica, deceduta da tempo. Ogni ambiente sembra celare una doppia natura, fatiscente e sfarzosa, grazie ad alcuni ologrammi che riproducono gli ambienti lussuosi nei quali viveva la donna che, attraverso questo gioco di illusioni, continua a possedere il luogo. Dopo essere stata rigettata dal marito, la donna lo ha ucciso e si è ritirata nell’astronave, che funge anche da trappola per astronauti: imprigionando uomini nella sua illusione, lo spettro della delirante diva spera di riconquistare l’amore perduto.

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Perfect blue (1997)
Prima opera diretta da Kon, tratta da un romanzo di Yoshikazu Takeuchi, Perfect blue è un anime pensato per un pubblico adulto. Si tratta di un thriller cupo, inquietante e profondamente psicologico. Protagonista è Mima, cantante di un popolare gruppo pop che ha deciso di intraprendere la carriera di attrice, abbandonando la musica. Le conseguenze di questa scelta si rivelano essere pesanti: abbandonata dai fan e derisa dai nuovi colleghi, Mima si trova a rimpiangere la sua vecchia vita. Le cose degenerano quando alcuni membri della troupe con cui lavora sono uccisi da un omicida seriale e quando un maniaco apre il blog “La stanza di Mima”, nel quale ogni attività della ragazza viene riportata con inquietante precisione: spaventata dagli omicidi e dallo stalking, Mima cade vittima di paranoie che portano la sua psiche a vacillare. Questi elementi fanno di Perfect blue un film d’animazione incredibilmente disturbante, un’opera resa efficace dal montaggio complesso, dall’atmosfera hitchcockiana e dalla spettrale colonna sonora (qui un assaggio). Il film non manca poi di dimostrare il tratto caratteristico di Kon, l’incrocio di realtà e fantasia: tra incubi e allucinazioni, la psicologia straziata di Mima viene sezionata con crudo realismo dall’autore.

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Millennium actress (2001)
Ispirata forse alla vita di Setsuko Hara (diva di Ozu), Millennium actress si presenta inizialmente come un’opera coi piedi per terra: la storia di un regista che intervista una mitica attrice del cinema giapponese classico, della quale è uno storico ammiratore. L’attrice, Chiyoko Fujiwara, vive in reclusione da diversi anni, ma quando l’intervistatore le porge un ricordo perduto del suo passato, una chiave appartenuta ad un misterioso pittore incontrato in tempo di guerra,  la donna inizia il suo racconto. Kon può quindi fare sfoggio del suo talento di artista visionario, intrecciando nel racconto tre diverse dimensioni che vengono a sovrapporsi: due legate alla realtà, ossia il presente (dell’intervista) e il passato (il racconto di Chiyoko, che riassume le tappe della sua vita); quindi una terza dimensione, quella cinematografica: i film interpretati dall’attrice prendono infatti vita durante la sua narrazione, mostrando come la vita stessa di Chiyoko sia dipesa dal cinema, come l’arte in definitiva l’abbia mantenuta in vita. Infatti grazie ai suoi ruoli in film drammatici e sentimentali la donna ha potuto costantemente mantenere vivida la speranza di incontrare di nuovo l’uomo da lei amato, il possessore della misteriosa chiave. Millennium actress, oltre ad essere un omaggio alla settima arte, è un film d’animazione commovente e dotato di grande fascino visivo: finzione, realtà e fantasia della protagonista si sovrappongono con suggestiva armonia, degna di un regista tecnicamente maturo. Un film che inoltre dimostra quanto potenziale sia insito nella fantasia umana, per quanto illusoria.

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Tokyo godfathers (2003)
Hana, Miyuki e Gin sono tre senzatetto nella fredda Tokyo dicembrina, rispettivamente un travestito con una carriera da drag-queen alle spalle, una ragazza fuggita di casa dopo aver pugnalato il padre e un padre di famiglia alcolizzato. Sono questi i bizzarri protagonisti dell’opera forse più accessibile di Kon, Tokyo godfathers, che parte dall’ispirazione fornita dal film di John Ford In nome di Dio per raccontare la storia di questi tre vagabondi uniti in una comune missione: trovare la madre di un neonato da loro rinvenuto in mezzo ai rifiuti. Il film, se pure rinuncia all’astrazione in piani di realtà alternativi come le altre opere di Kon (al più si scivola nella dimensione della memoria), rivela un altro importante aspetto di questo poliedrico regista: la sensibilità nei confronti di problematiche sociali. Tokyo godfathers, oltre ad essere una delle storie di Natale più belle partorite dal cinema d’animazione (superiore a molte produzioni occidentali), affronta con un’ironia talvolta amara e con seria umanità i problemi della metropoli contemporanea, quali appunto la presenza di trovatelli e nullatenenti, questi ultimi spesso vittima di discriminazioni e violenza. Il film riesce nell’intento di far redimere queste figure, “angeli” urbani, mostrandone il lato dignitoso.

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Paranoia agent (2004)
Dopo aver prodotto tre lungometraggi, Kon decide di condensare alcune tematiche (ricavate in parte da queste prime opere) in una serie televisiva divisa in 13 episodi: Paranoia agent. Serie caratterizzata da un ampio numero di personaggi costruiti nel dettaglio, ruota attorno al fantomatico Shonen Bat, un misterioso ragazzino dotato di mazza da baseball che sembra essere la causa di alcune apparentemente casuali aggressioni. La prima vittima è Tsukiko Sagi, creatrice di Maromi, un cane rosa diventato una popolarissima mascotte tra la popolazione del Giappone. Riprendendo il tema della paranoia già affrontato (con toni più cupi) in Perfect blue, Paranoia agent descrive una società vittima dei fenomeni di massa che essa stessa, grazie ai propri potenti mezzi di comunicazione e alla natura ossessiva dei suoi componenti, produce: il cane pupazzo Maromi, amato da tutti con eccessivo entusiasmo (atteggiamento noto come otaku), non è dunque molto diverso da Shonen Bat, incarnazione della paura nata dalla stessa Tsukiko, che le ha dato vita a seguito di un trauma subito nell’infanzia. Questo ragazzo munito di mazza è una figura puramente mentale, ma viene resa materiale per mezzo della paranoia, che dal singolo si dipana tra le masse con facilità, come un’epidemia. Ancora una volta dunque Kon si concentra sul grande potere che ha l’immaginazione umana di rendere concreti i suoi incubi.

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Paprika (2006)
L’ultimo sforzo registico di Satoshi Kon, presentato al Festival del cinema di Venezia, è anche la sua opera più conosciuta e apprezzata, oltre ad essere la più ricca dal punto di vista creativo e la più complessa dal punto di vista registico. Paprika è tratto dal romanzo omonimo di Yasutaka Tsutsui, scrittore che Kon apprezzava molto e che aveva preso come modello ispiratore sin da giovane. L’ambientazione è un mondo futuro nel quale psicoterapeuti specializzati sono in grado di controllare i sogni dei loro pazienti (ed interagire con il loro subconscio), attraverso strumenti chiamati DC Mini. Chi ne è in possesso è in grado di penetrare la mente di tutti i pazienti collegati al meccanismo, causando danni anche fatali. Quando gli strumenti vengono rubati, l’investigatore Konakawa e la dottoressa Chiba vanno alla ricerca del ladro, che nel frattempo ha già aperto una breccia nel mondo dei sogni, contaminando con presenze oniriche il mondo reale: oggettività e soggettività arrivano ad essere indistinguibili, fondendosi l’una con l’altra in una dimensione caotica estremamente pericolosa, caratterizzata dalla presenza di assurde proiezioni oniriche. Chiba, grazie all’aiuto del suo alter-ego mentale Paprika, tenta di controllare la situazione, immergendosi nei sogni delle persone contaminate. Paprika è forse il film che meglio permette di capire la poetica di Kon: passando continuamente dal piano dei sogni a quello reale, il film ha permesso al suo genio creativo una libertà espressiva senza limiti, sul piano visivo (celebri sono le scene dedicate alla trionfale parata onirica), musicale e a livello del montaggio, così complesso da aver suggerito parallelismi tra il film di Kon e l’Inception di Nolan.

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