Emma Dante torna a Lauro Rossi di Macerata dopo il successo estivo del Macbeth all’interno della stagione operistica dello Sferisterio. Questa volta l’obiettivo è lo Studio della tragedia greca de Le Baccanti di Euripide. La regista siciliana si trova a dirigere i giovani dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico composta da attori e attrici al completamento della propria formazione. Con la traduzione contemporanea di Edoardo Sanguineti, l’opera de Le Baccanti si trasforma in un vero e proprio rito segreto di Bacco dove vediamo danzare sul monte Citerone a ritmo di musica pop attori vestiti con jeans strappati e rossetti rosa.
La forza provocatrice di Emma Dante è un lavoro attento sui corpi in un linguaggio corale di comunità, dove la storia mitologica si racconta, disseminata su diversi livelli di drammaturgie. Il tradurre l’opera di Euripide, non è l’atto del “tradire” ma un’azione di recupero, trasformazione, metamorfosi e montaggio. Il testo classico del teatro greco racconta come Dioniso, dio del vino, nato dall’unione tra Zeus e Semele (donna mortale) scende tra gli uomini per convincerli di essere un dio. La prima cosa che Dioniso fa, è quella di instillare nelle donne tebane il germe della follia per poi esplodere in una celebrazione dei riti dionisiaci. Penteo, re di Tebe, la più grande città della Beozia, nonostante i tentativi di Cadmo (suo nonno) e Tiresia (indovino cieco), non riconosce il dio del vino, il quale scatenerà “l’inferno” trasformando le tebane in Baccanti. Queste figure “sovrumane” e desiderose di sangue si scagliano, guidate da Agave, la madre di Penteo, contro proprio il re di Tebe, suo figlio. In preda all’ebrezza divina, le Baccanti non lo riconoscono e lo scambiano per un leone, facendone orrido scempio. Agave e Cadmo vengono esiliati e Dioniso si conferma il deus ex-machina, “ultore” di chi non credeva nella sua forza divina. Tutti gli stasimi, ossia i momenti dell’antica tragedia greca in cui il coro esegue un canto e una danza per commentare, illustrare e analizzare la situazione che si sta sviluppando sulla scena, con Emma Dante diventano un lavoro energico tra equilibrio della parola e quello della voce.
La regista siciliana si prende cura di tutti dettagli della tragedia, la gestualità di Cadmo e Teresia sono il risultato del lavoro fisico e complesso che Emma Dante compie “sul materiale umano” con caratterizzazioni uniche, compresa quella di Penteo, una versione isterica e androgina. In questa versione tragicomica, dove la tragedia non esclude la commedia, Emma Dante evoca con forza una duplicità importante tra apollineo e dionisiaco, un doppio continuo, cortocircuitante, dove l’uomo-donna, l’animale e il razionale convivono per uno spettacolo unico, dove Penteo conserva in sé l’umano e tutti i suoi vizi, mentre Dionisio sprigiona con tutta la sua “ira” le forze distruttrici portando la città di Tebe verso la demolizione. Le Baccanti si rivelano quasi uno smarrimento “dolce” di uno strepitio che sa di disfacimento ed ebrezze folli. Occorrono quasi due ore, la durata dello spettacolo, per comprendere come il rigore scenico e la “cura del corpo” conduce lo spettatore verso uno stillicidio di domande infinite ed incompiute. Le vesti, il colore rosa sempre presente, dagli abiti sgargianti di Penteo alle mutande rosa, al rossetto sulle labbra di tutti gli attori celebrano la figura dell’ambiguità e dell’ibrido. È Dioniso a essere sia figlio di un dio che dell’uomo. Una croce al neon, una veste sacerdotale (quella di Penteo) rosa glitterato consegna allo spettacolo una cromaticità “lucida”, una camera chiara su cui si innescano “fotogrammi immaginari elettrizzanti”, quasi come dentro uno schermo televisivo su cui tutto scorre. Scopriamo attoniti teste agonizzanti appese e poi scaraventate a terra, è il dionisiaco a vincere in uno sguardo finale “provocatorio”. Emma Dante convince, uscendo dagli schemi istituzionali, nel suo stile fatto di contaminazioni, sconfinamenti, dove l’estetica vince sull’etica e l’androgino abbraccia l’ibrido. La sfida sta proprio nel consegnare un nuovo respiro ad un capolavoro classico, dove l’identità perde la sua radice per volgere l’irrisolto caos delle Baccanti contro l’ordine costituito, quello tentato da Penteo ucciso dalla stessa madre, conquistata dalla “follia dionisiaca”.
Sul palco foderato di drappi di velluto rosso, non resta che una foresta di teste recise, un finale senza più respiro, ma solo applausi.