Abbiamo realizzato un’intervista a Nicola Nucci, autore brillante che con il suo primo libro, Trovami un modo semplice per uscirne (Dalia Edizioni), è stato finalista al Premio Calvino. Abbiamo parlato dei giovani di oggi, di cosa vuol dire Rivoluzione nel 2020 e di cosa c’è dietro ad un dialogo serrato tra due ragazzi. Ecco dunque la nostra intervista a Nicola Nucci.
TROVAMI UN MODO SEMPLICE PER USCIRNE – LEGGI LA RECENSIONE
Nicola Nucci, Trovami un modo semplice per uscirne è il tuo esordio letterario. Quando e come nasce la tua passione per la letteratura?
Nasce diversi anni fa non tanto come innalzamento del grado di levatura personale bensì per puro e semplice divertimento. Eh sì, a mio avviso l’alta letteratura è foriera di belle sensazioni, di rumori, di rompicapo da risolvere. Divertire sì, però occhio: si dovrebbe anche condurre il lettore ad un interrogazione interna. Credo sia questa la principale differenza tra chi racconta storie e chi fa vera letteratura. È un pensiero contorto però… supperggiu’ fila, no?
I protagonisti della tua storia sono due ragazzi annoiati. Li hai scelti un po’ come simbolo della generazione di oggi? Cosa rappresentano Nick e il suo amico?
Eh sì. Quello che ho provato a fare io è stato aprire un dialogo con un ipotetico ascoltatore, forse anche più di uno. La domanda di fondo è “I ragazzi di oggi sono colpevoli o vittime dei fallimenti che li stanno investendo?” La volontà era quella di aprire un tavolo di trattativa perché sì, cioè, Nick e il suo amico rappresentano un po’ la snervante routine, quella che ti inchioda alla sedia destinazione da-nessuna-parte. Ho fatto questo. Ci ho provato. Poi beh, già il fatto che tu consideri Nick e l’altro due figure distinte mi fa capire il tuo punto di vista. Stai escludendo quindi che non siano due personalità distinte all’interno del solito personaggio, ho capito bene? Beh. Figata. Vedi: stiamo intavolando una trattativa. È tutto sottosopra. Una disgrazia. Questo non-romanzo mi disorienta. Non ha nulla di certo.
Cosa vuol, dire per te essere giovani nel 2020? E cosa ricordi della tua giovinezza?
Beh. Trovami un modo semplice per uscirne l’ho scritto a ventisette anni, finito a ventinove. Sinceramente non lo so. Volevo descrivere la fine dei vent’anni, riportare sulle righe quello che Motta stava facendo col suo album, La fine dei vent’anni, appunto. Per il resto sì, di serate così ne ho avute a dozzine. Normale sia così, chi non ne ha avute?! Poi va beh, essere ventenni oggi è relativo. I vent’anni durano trent’anni buoni. O sbaglio?
I due ragazzi progettano di cambiare il mondo attraverso un’idea chiamata Rivoluzione. Contro cosa si scontrano nel realizzarla? Cosa ci vorrebbe oggi per cambiare il mondo?
Si scontrano con la scarsa pazienza, con la mancanza di talento, forse anche di coraggio. Si perdono dietro a mille scorciatoie, e allora bicchierini con gli ombrellini come se piovesse ma… a quale prezzo? La libertà? Un sacco di followers su Instagram? Che poi oggi è un po’ tutto cristallizzato che esce un romanzo come questo e non sempre c’è la forza di capirlo perché andiamo di fretta. Dove? Da nessuna parte, ma di corsa. E via discorrendo.
Trovami un modo semplice per uscirne è un dialogo serrato tra i due ragazzi. Come mai hai scelto questa struttura narrativa per la tua storia?
Ci ho pensato sai. Un sacco di volte. È solo che mi pareva superfluo mettermi in mezzo. La loro esistenza era talmente bloccata che non volevo obbligarli a fare cose che poi: cioè che palle! Beh. Sì. È stato un azzardo. Poi bisogna dire: sicuro che avrebbero accettato un narratore esterno? Sono di un permaloso guarda. Coi personaggi dei romanzi bisogna farci amicizia, scenderci a patti. Tu alla fine non è che decidi tutto questo gran che, eh. Fanno sempre come gli pare, accidenti a loro.
Cosa leggi di solito? Quali sono i tuoi autori preferiti?
Attualmente sto leggendo l’ultimo di Trueba. Devo dire che mi sta piacendo un sacco. Per il resto mi piace alternare più generi. Sono cresciuto con Niven, Eggers, Welsh, Doyle, O’Connor… Ultimamente sono rimasto folgorato da Thirlwell. In Italia ultimamente ho letto un sacco di cose fighe. Cereali al neon di Sergio Oricci ad esempio, ma non solo. Ti ho annoiato? Ok. Allora mi fermo qui anche se ce ne sarebbero altri.
Nicola Nucci, che cos’è per te la Rivoluzione?
Bella domanda: forse un’opera come questa è una mezza rivoluzione. Per il resto, non lo so, mi pare che oggi l’idea di rivoluzione sia molto vicina a quella dei due protagonisti del romanzo.
Di cosa vorresti parlare nel tuo prossimo libro?
Mi piacerebbe affrontare un tema caldo di cui nessuno parla mai. Figurati se lo dico, altrimenti me lo rubano. Zan Zan. Non è però l’unica idea che ho in testa eh. Non lo so: e se mi prendessi qualche anno di pausa?
Ohi ohi che mal di testa.
E se smettessi di pensarci?
E se le parole uscissero da sole senza ordini o scalette preconfezionate?
Molto meglio così, no?
Sì, forse davvero è meglio così. Perché in questa intervista a Nicola Nucci abbiamo imparato a capire che un giovane autore può avere idee molto interessanti e vincenti anche e soprattutto se sono fuori dagli schemi, e che a volte per fare una Rivoluzione, basta un libro.