Da giovane credevo che gli imbianchini imbiancassero le case. Così Frank ‘The Irishman’ Sheeran (Robert De Niro) si presenta allo spettatore dopo una carrellata dentro un ospizio, sulle note malinconiche di In the Still of the Night dei The Five Satins.
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Troviamo il nostro personaggio principale con la sua straordinaria “bellezza”, le rughe pensanti, gli occhi abbassati, le pieghe del viso e della pelle. Seduto su una sedia rotelle, camicia bianca striata con righe di colore beige, gilet nero, i bastoni appoggiati sulla gamba destra, un anello d’oro vistoso sulla mano sinistra. The Irishman è l’ultimo capolavoro di Martin Scorsese. Il film viene presentato in anteprima il 27 settembre 2019 al New York Film Festival per poi catapultare direttamente sulla piattaforma Netflix dal 27 novembre. Con The Irishman, il regista americano con questa faticosa e mastodontica pellicola, ben 209 minuti, torna a raccontare il mondo dei gangster mafiosi, di “quei bravi ragazzi” questa volta consegnando la voce al ricordo (nota quasi “malinconica”) di quell’epoca piena di sangue, lotte tra famiglie, bande, perdite, tradimenti, sottomissioni, cadaveri ed esplosioni. Scorsese riprende con cura la storia del libro I Heard You Paint Houses: Frank “The Irishman” Sheeran e Closing the Case su Jimmy Hoffa (Steerforth Press, 2004) raccontata da Charles Brandt, ex procuratore della Omicidi, investigatore e avvocato difensore.
La trama
Frank ‘The Irishman’ Sheeran (Robert De Niro) è un uomo che durante il Novecento attraversa il mondo della mafia e della gestione dei sindacati. Quando fa ritorno dalla Seconda Guerra Mondiale, dove ha combattuto in Italia, Frank viene assunto come autista per un’azienda di trasporti. Durante un viaggio, il suo camion riscontra un problema meccanico e viene aiutato da un signore di origine italiane Russell Bufalino (Joe Pesci), esponente di spicco di Cosa Nostra a Filadelfia, che lo prende sotto la sua protezione. Frank Sheeran contamina la sua attività pubblica di trasportatore con quella della malavita. Egli si ritrova di colpo prigioniero di quel mondo che mai abbandonerà. Frank “l’irlandese” Sheeran inizia a “dipingere case”, imbrattando di sangue le pareti dove uccide le sue vittime, trasformandosi in un killer silenzioso, introverso senza mai fare troppe domande. È proprio Frank a raccontarci la sua vita e quei cinquant’anni (1949-2000) vissuti nel mondo malavitoso. Dopo la protezione di Russel Bufalino, Sheeran entra nella zona grigia della mafia italoamericana di Chicago degli anni Sessanta. La sua ascesa “all’inferno” nella vita criminale di Chicago lo porta ad incontrare una figura chiave della vita americana del periodo, ‘Jimmy’ (James Riddle) Hoffa interpretato dall’incredibile Al Pacino, un sindacalista, fondatore e leader della International Brotherhood of Teamsters: un personaggio molto controverso. Hoffa gestisce il suo sindacato con grande carisma, quanto quello di Elvis Presley. Jimmy Hoffa negli anni ’50 era famoso come Elvis”, “negli anni ’60 come i Beatles”, “dopo il Presidente era l’uomo più potente del paese”.”
Scorsese affianca l’incredibile ascesa del sindacato grazie all’influenza della criminalità organizzata e al boss Russell Bufalino con suo cugino Bill Bufalino (Ray Romano), avvocato difensore e consigliere. L’interesse della criminalità organizzata era proprio quello di ottenere prestiti dal cospicuo fondo pensione dell’organizzazione. Quando John Fitzgerald Kennedy diventa Presidente degli Stati Uniti e nomina il fratello Robert procuratore generale, inizia una feroce battaglia contro la corruzione tentando di incriminare Jimmy Hoffa. Nel 1963 JFK viene assassinato, ma Robert Kennedy continuerà a lavorare per incriminare Hoffa. Proprio l’anno successivo, il 1964 Hoffa viene condannato per corruzione e uso criminale del fondo pensione, e finisce in prigione. Quell’anno Robert Kennedy si dimette dal ruolo di Procuratore Generale. Nel 1967 Jimmy Hoffa va in prigione, destinato a scontare una condanna di 13 anni. Il presidente del sindacato diviene Frank Fitzsimmons, che prende le distanze dalle influenze che Hoffa ed è ben visto dalla criminalità organizzata. Nel 1971 Hoffa viene rilasciato dopo una riduzione della pena richiesta dal nuovo presidente americano Richard Nixon. Jimmy Hoffa, una volta uscito dal carcere, cerca (invano) di riconquistare il proprio ruolo di leadership all’interno del sindacato.
La recensione di The Irishman di Martin Scorsese
«Non c’è niente da guardare»; «bisogna fare qualcosa» l’azione, è con Scorsese è sempre violenta, sterile e inespressiva. I personaggi secondari del film, non sono altro che comparse come necrologi, prima di sparire per sempre in un colpo, in una sentenza definitiva di morte. The Irishman, ne conserva l’odore acre, non c’è spazio per i buoni sentimenti, l’unica cosa sana è la lealtà dell’uomo d’onore, mentre il tradimento annega per sempre, senza nessun respiro liberatorio. Scorsese non ammette romanticismi. Prima o poi tocca a tutti. Questo è quanto. Non c’è nient’altro da dire. Gli altri – Bufalino, Pro, Sally Bugs, Tony Salerno – sono tutti morti. Le cose stanno scomparendo e si stanno cancellando e presto non rimarrà nulla. È così.
Il tono liturgico di Bufalino e l’ego-eccentrismo di Hoffa fanno da contraltare allo sguardo impassibile e funereo di Sheeran. Perché tre persone mantengano il segreto, due devono essere già morte. Scorsese affida proprio a Frank di fare i conti con il passato, da cui non si può sfuggire, ma si può solo chiederne il conto finale. Il tempo è il vero protagonista di The Irishman, in cui vediamo De Niro “assolvere” i suoi peccati, o meglio aderire al presente che è sempre sul punto di emanare il suo ultimo rantolio. L’andare avanti e indietro nel tempo è un gioco pericoloso, il passato resta stretto tra le rughe senza nessuna redenzione, lascia traccia, orme, cadaveri, sagome, senza rimpianti o rimorsi, solo rassegnazione. The Irishman è il requiem finale, una pulsione di morte, un grande finale di partita, è quello che è («It is what it is»). Il potere prende il posto dei sogni in una architettura temporale organizzata emotiva e cupa. Non c’è bisogno di recuperare un De Niro così giovane (Taxi Driver, 1976), nonostante l’utilizzo della Cgi (Computer-generated imagery, immagini generate dal computer) è lo stesso De Niro, quello dei Quei bravi ragazzi (Goodfellas, 1990) e quello di The Irishman, restando potente e attuale nel suo immaginario cinematografico. ‘Bisogna fare qualcosa’ è esclamazione che consacra la pellicola di Scorsese con tutta la sua potenza intrecciando la vita e la morte, dove la storia del tempo è quella di un’epoca, di Frank Sheeran, l’Irlandese, responsabile di più di venticinque omicidi, tra cui quello dello stesso Jimmy Hoffa. Ci sono voluti 108 giorni per girare The Irishman in 100 location, 28 delle quali costruite da zero. Le scene sono alcune centinaia, gli attori oltre 200, le comparse oltre seimila. Una grande fatica, un investimento mastodontico (100 milioni di dollari) per un film speciale. “Attenti, però a dipingere le pareti delle case!
Martin Scorsese
Genere
Drammatico
Anno
2019
Attori
Robert De Niro - Al Pacino - Joe Pesci - Harvey Keitel -
Durata
209 minuti
Paese
USA