Federico Finchelstein ci porta, con questo volume, direttamente nel cuore del fascismo, per svelarcene i segreti. Nel 1945 Hannah Arendt, filosofo e politologa tedesca naturalizzata statunitense di origine ebraica, riteneva che il fascismo fosse un menzogna assoluta con effetti politici mostruosi.
Proprio i fascisti trasformavano menzogne in realtà, sfruttando l’antico pregiudizio (occidentale) in modo da sfruttare la realtà e la verità, costruendo un “reale” che fino a quel momento era considerata menzogna. Ma se la realtà per la Arendt è malleabile, mutevole, la verità non lo è affatto.
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La trama
Da questa tesi si sviluppa il personalissimo e profondo pensiero di Federico Finchelstein, docente presso la New School for Social Research di New York. In sole settantacinque pagine si raccoglie il volume Per una storia della menzogna nel fascismo, edito dalla casa editrice marchigiana eum (Edizioni Università di Macerata) nella sua collana dedicata alle lectio magistralis.
Dopo aver raccolto il pensiero di Paolo Prodi (Furto e mercato nella storia occidentale, 2009) e Pierangelo Schiera (La misura del bene comune, 2010) con Finchelstein ci si pone di fronte la problematica della verità che raccoglie nel suo grembo tutta la sua attualità. Oggi non facciamo altro che sentire dibattiti sulla questione delle fake news, sicuramente non nuove nella loro essenza, sempre utilizzate fin dai tempi di Orson Welles con l’incredibile trasmissione radiofonica dove si annunciava l’arrivo dei marziani nella Guerra dei mondi[1] (1938) e l’eccezionale film F for Fake[2] (Vérités et mensonges, 1973).
In queste poche pagine Finchelstein raccoglie la profondità della questione partendo dal pensiero della Arendt e sviscerando le problematicità, numerose, sulla menzogna, sulla finzione su cui il fascismo si appoggiava, soffocando altre interpretazioni della realtà. (Nel fascismo, la finzione prese il posto della realtà, diventando essa stessa realtà per i fascisti).
Federico Finchelstein e la storia della menzogna nel fascismo – La recensione
Il credo fascista veste subito l’abito della mitologia accordandosi con la figura del leader (il suo corpo e le sue parole), della sua guida (führer) e “l’incantesimo della produzione della menzogna”. Questa operazione ideologica e totalitaria conduce ad un mescolamento di realtà e fantasia dove la cifra della menzogna si accompagna all’esaltazione dell’eroe e il mito vivente (biologico e psichico) si trasforma in un atto di fede nei confronti dell’infallibilità del leader (origine suprema della verità e dell’autorità). Da questa tesi Federico Finchelstein disvela la menzogna e la sua pratica perfomativa.
La perfomance del fascismo, il ruolo della violenza afferma la redenzione (sublime permazione del divino nell’umano) del sacrificio e della morte, al servizio della verità e le parole conquistano la forza di legge e la natura sacra del fascismo. L’ideologia del leader definisce la verità in un ossessione patologica, direbbe Freud. Lo stesso Borges descrive il fascino e il suo potere distruttivo contenente solo il mentire, l’uccidere e il far scorrere sangue. In questa non-etica (ninguna etica del nazismo) dell’infamia, della violenza c’è un ritorno (assoluto) alla e della superstizione. La posizione anti-illuminsta degli anni Venti fascista costituisce il rifiuto della cultura come decisione ideologica in direzione di una regressione ideologica collettiva intrisa di “finzione” di sentimenti reali.
La natura del fascismo, ci spiega Finchelstein, è quella di rappresentare il veicolo collettivo per far venire alla luce e omologare politicamente l’essere umano. Ancora una volta è l’essenza “naturale” del leader a soddisfare i desideri del popolo (con le proprie convinzioni comuni). L’uomo forte segue l’ordine naturale delle cose e del suo destino trans-storico. La visione fascista segue l’idea del leader delegato in nome della volontà del popolo stesso, diventando desiderio e inibizione stessa del desiderio (represso). La rivoluzione fascista crea così una trasformazione dell’io, ricercando l’inconscio come progetto di autorealizzazione nel dominio politico assolutamente conscio del fascismo. Da questo stato emotivo si plasma un movimento politico dove desiderio e distruzione si abbracciano in una stretta mortale finale. Finchelstein rintraccia nel connubio tra verità e falsità il disagio della società e di un mondo che sta diventando triste e destinato ad una rapida distruzione.
Il ritorno fascista sotto altre vesti, recupera la contemporaneità dell’analisi che Finchelstein propone, in cui la ragione soppianta la consapevolezza a favore di un’altra ragione “mostruosa”, impulsiva e illogica, ma soprattutto pericolosa. Fino a quando le bugie, la non verità, la post-verità può esprimere così tanta violenza che ancora ci attornia senza via di scampo. Possiamo ancora fare qualcosa per recuperare quel velo di verità vera?
[1] Il programma, diretto e narrato in buona parte da Welles, che all’epoca aveva 23 anni e doveva ancora girare il suo primo film, era ispirato al romanzo “La guerra dei mondi” di H.G Wells ed era una finta cronaca giornalistica in diretta di un’invasione aliena degli Stati Uniti. Welles all’epoca collaborava con il radio giornale della CBS, ne imitò lo stile e poté anche contare su molti dei rumoristi e degli altri tecnici che lavoravano al programma di notizie. Il racconto che ne uscì fu particolarmente realistico. Durò un’ora, senza interruzioni pubblicitarie.
[2] Orson Welles narra direttamente allo spettatore diverse storie riguardanti quadri falsi e veri, falsari di professione e critici d’arte che scambiano i quadri dei falsari per veri: tra questi, Elmyr de Hory, che falsificava celebri quadri; Clifford Irving, che falsificava biografie; il miliardario Howard Hughes e il pittore Pablo Picasso.
Federico Finchelstein
Casa editrice
EUM
Anno
2019
Genere
saggistica
Formato
Brossura
Pagine
75
ISBN
978-88-6056-4