Il primo romanzo di Margaret Atwood, La donna da mangiare, torna in libreria con una nuova traduzione. L’opera è uscita in Italia per la casa editrice Ponte alle Grazie lo scorso 5 novembre.
La donna da mangiare è il primo romanzo di Margaret Atwood e contiene già tutti i temi delle sue opere successive. Un volume sul corpo della donna che ora esce con la traduzione di Guido Calza.
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Margaret Atwood – La donna da mangiare
Marian è una ragazza ben educata e istruita, vive negli anni Sessanta a Toronto, ed è fidanzata con Peter, un promettente avvocato. Lavora in un’azienda che si occupa di ricerche di mercato, dove i posti di responsabilità sono tutti ricoperti da uomini.
Ambiziosa, ma anche desiderosa di essere normale, Marian decide di assecondare le richieste del suo fidanzato e della società e attende fiduciosa il matrimonio, che pensa le conferirà un ruolo. La svolta inattesa giunge quando incontra Duncan, un dottorando in Letteratura inglese che ignora le regole ed è profondamente determinato, a differenza di Marian, a esprimere la propria individualità.
La ribellione parte dal corpo della ragazza, che inizia a rifiutare il cibo: prima la carne, poi le uova, infine le verdure, finché la sua personalità, tenuta così a lungo a freno, esplode in una serie di comportamenti inappropriati e sovversivi, modificando per sempre la sua rassicurante, stabile routine. Spregiudicato, esilarante e acuto, La donna da mangiare è il primo romanzo di Margaret Atwood e contiene già tutti i temi delle sue opere successive, presentandola come un’osservatrice consumata delle ironie e delle assurdità generate dal conformismo. Questo primo libro dell’autrice diventerà anche una serie tv, la cui uscita è prevista per il 2021.
L’autrice
Margaret Atwood è una delle scrittrici canadesi più conosciute al mondo, nota al grande pubblico, ma non meno amata dalla critica, per la vena brillante e surreale, per la vivida potenza dello stile, e per la capacità di creare mondi disastrati e menti inquietanti, lenti attraverso cui leggere vertiginosamente la condizione contemporanea. Nata nel 1939 a Ottawa, Ontario, diplomata all’università di Toronto e poi laureata a Harvard (o meglio, al Radcliffe College, che era allora l’istituzione parallela a cui potevano accedere le donne), Atwood debutta presto come poeta con un piccolo libro autoprodotto, Double Persephone, e manda alle stampe diverse raccolte di versi prima di esordire come romanziera con La donna da mangiare, nel 1969.
Se negli anni Settanta la sua produzione alterna prosa e poesia, con pubblicazioni che spesso si richiamano e compendiano a vicenda, negli anni Ottanta e Novanta Atwood si dedica principalmente alla narrativa. Il racconto dell’ancella (1985), Occhio di gatto (1988), La donna che rubava i mariti (1993), L’altra Grace (1996), insieme ai numerosi contributi al racconto breve e alla saggistica, la impongono all’attenzione dei lettori di tutto il mondo. Col volgere del secolo Atwood seguita ad attraversare e rigenerare generi e temi codificati, dal romanzo gotico a quello storico, dal thriller alla distopia fino al mito classico e a Shakespeare. L’assassino cieco (2000), la trilogia dell’Adamo pazzo (2003, 2009, 2013), Il canto di Penelope (2005), Per ultimo il cuore (2015), Seme di strega (2016), e I testamenti (2019) dimostrano una straordinaria fecondità immaginativa. Conosciuta per il suo impegno politico ambientalista e progressista, anche la sua presenza online non è mai priva di verve e acume critico, come quando evita di nominare gli Stati Uniti, chiamandoli piuttosto «quel paese di cui non faremo il nome», o dalla sua pagina web dà conto del risparmio energetico nel suo ufficio (per esempio: usiamo il termostato a tempo, non abbiamo condizionatori d’aria, ci vestiamo a strati d’inverno).
Vincitrice di decine di premi letterari, dal prestigioso Booker Prize al Principe delle Asturie a quelli per la fantascienza come l’Arthur C. Clarke e il Nebula, fino ai riconoscimenti all’opera come il premio Franz Kafka e il Nelly Sachs, Atwood continua a scrivere poesie, come sonde mandate in avanguardia nei territori caratteristici della sua invenzione, senza rinunciare a una lingua nitida ed esuberante e a considerare le contraddizioni umane (e post-umane) con tagliente ironia.