La terza settimana del MOF 2022 prosegue con il concerto in due parti (4 e 6 agosto) del giovanissimo e bravissimo Jan Lisiecki, nel doppio ruolo di pianista e direttore della Filarmonica Rossini. Nelle due giornate il giovane musicista esegue i cinque “concerti” per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven.
Nella prima parte il ventisettenne canadese (di origini polacche) ha deliziato il pubblico del Lauro Rossi con i concerti n. 2 per pianoforte e orchestra in Si bemolle maggiore, n. 1 in Do maggiore op. 15, n. 4 in Sol maggiore op. 58. La seconda parte invece è stata dedicata ai concerti n. 3 in Do minore op. 37 per pianoforte e orchestra e n. 5 in Mi bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”.
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I concerti
L’ex enfant prodige è un mix portentoso di bravura e magia. Precoce astro della tastiera, le note che risuonano nel teatro sono suoni pulitissimi accompagnati da un’articolazione impeccabile e una padronanza delle dinamiche sempre gestite con gusto, chiarezza di lettura metabolizzata nel dettaglio. Lisiecki è bravissimo. Incanta, risuona e performa restituendoci due giornate sinfoniche indimenticabili. Pochi pianisti oggi guidano dalla tastiera come faceva Beethoven quando presentava i suoi concerti. Gli equilibri tra solista e orchestra sono buoni e la precisione dell’ensemble è lodevole, data l’assenza di un direttore d’orchestra.
Nel complesso, sono i rondò ad essere più attraenti nel loro contagioso abbandono giocoso. Il Rondò del Quarto Concerto è delizioso, perfetta interazione tra solista e orchestra, eccellente composizione tra agilità scherzosa e serietà, da far emozionare. Il pubblico plaude a questo giovane, alla sua freschezza di esecuzione e la promessa di grandi cose a venire.
The Circus al MOF
La 58esima edizione del MOF 2022 prosegue con la visione restaurata dalla Cineteca di Bologna di The Circus (1928) film muto diretto, interpretato e prodotto da Charlie Chaplin. A seguire la lirica di Ruggero Leoncavallo Pagliacci (1892). L’opera venne rappresentata per la prima volta al Teatro dal Verme di Milano il 21 maggio 1892, con Fiorello Giraud (Canio), Adelina Stehle (Nedda), Victor Maurel (Tonio), Francesco Daddi (Beppe), Mario Roussel (Silvio) e la direzione di Arturo Toscanini. Spesso quest’opera è accompagnata alla Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni (1890), una delle più rappresentative opere veriste.
Cinema e lirica ancora una volta si incontrano, dopo la Tosca della brava e giovane regista Valentina Carrasco, andata in onda la prima settimana del MOF 2022. Il film viene proiettato sul muro dell’arena Sferisterio. Dopo la prima esecuzione dal vivo dopo il debutto nel 1928, la colonna sonora originale viene ripristinata per l’occasione dal maestro Timothy Brock, che ne guida la direzione sul podio insieme all’Orchestra Filarmonica Marchigiana (FORM). L’opera, diretta da Brock, si avvale della regia di Alessandro Talevi che ne ha curato l’allestimento allo Sferisterio già nel 2015, ma portando notevoli modifiche. Nel film, Charlot è un vagabondo che si aggira tra le gabbie delle bestie feroci e il telone di un circo combinando guai e trasformandosi involontariamente in un clown che suscita simpatia, proprio come le maschere della commedia dell’arte. La colonna sonora restaurata del film contiene delle citazioni tratte dall’opera di Leoncavallo così come il regista Talevi include nello spettacolo Pagliacci spezzoni del film. In uno dei più riusciti capolavori di Chaplin, ricco di invenzioni comiche il regista britannico mescola sentimento e poesia. Durante la nuova riedizione degli film, Chaplin ne compose anche la traccia musicale e la interpretò personalmente all’età di 79 anni. Furono diverse le disavventure familiari che coinvolsero il grande comico e cineasta del film muto, una fra tante, il matrimonio forzato con Lita Grey (la bambina ne Il monello, 1921, nonché inspiratrice, in parte, del romanzo di Nabokov, Lolita, 1955). The Circus rischiò di non arrivare mai sugli schermi per alcune vicissitudini legali di Chaplin. La risata che innesca il maestro del cinema muto sta proprio nel suo meccanismo involontario di produrre sentimentalismo e realismo. Un film premiato con un Oscar alla carriera e allo stesso tempo sfortunato.
Anche se apparentemente unire i due capolavori, quello di Chaplin (The Circus) e quello di Leoncavallo (Pagliacci) risulta una sfida, la proposta innovativa nonostante le sue difficoltà ci lascia un sentimento di compiacimento alternato ad una leggera confusione, dovuta ai troppi elementi scenografici della lirica disposti sull’intero palcoscenico dello Sferisterio.
L’allestimento dell’opera leoncavallesca è scarna, come in un set di Lars von Trier, (Dogville, 2003). Mentre l’accompagnamento dal vivo della proiezione chapliniana funziona benissimo. Musica e immagini rivivono in un connubio perfetto elevando The Circus ad una delle opere più belle (anche se più sofferte) del cineasta e comico inglese. The Circus in qualche modo si fa Prologo di Pagliacci, cantato da Veloz nelle vesti di un operatore cinematografico. Timothy Brock e la sua arte di restauratore, nonché esecutore di colonne sonore cinematografiche conferma la sua fama anche in Pagliacci. Alessandro Talevi opera nel dramma della gelosia il carretto entrante sul palcoscenico tra costume e pose di marionette inserite dentro ad un borgo stilizzato con perimetri che delimitano gli edifici del luogo: edifici reali ma privi di pareti. Pagliacci rappresenta la prima direzione di un’opera in lingua italiana che i Brock ha affrontato con approccio scientifico, consultando l’autografo della partitura, conservato presso la Biblioteca del Congresso a Washington DC e valutandone anche le varianti introdotte nella prassi esecutiva nel corso del Novecento. Un’operazione filologica coraggiosa e innovativa.
La storia di Pagliacci
La storia di Pagliacci racconta di Canio capocomico di una piccola compagnia teatrale itinerante composta, oltre che da lui, da Beppe, Tonio e Nedda, un’orfanella che lui ha salvato dalla strada quando era ancora una bambina, e che lo ha poi sposato più per gratitudine che per vero amore. Nedda è ora innamorata di Silvio, un contadino con cui una sera si mette d’accordo per fuggire via dopo lo spettacolo. Tonio, anche egli innamorato di Nedda ma da lei rifiutato, ascolta i loro discorsi e decide di vendicarsi riferendo la tresca a Canio. Canio non fa in tempo a vedere in volto l’amante di Nedda, e allora pretende che sia lei stessa a confessargli il suo nome; ma Nedda si oppone. Beppe interviene a sedare la discussione ricordando che ormai è ora di prepararsi per la commedia. Canio è sconvolto e affranto, ma si prepara comunque a fare la sua parte di Pagliaccio come sempre, perché così vuole il pubblico. Inizia la recita, ma Canio, che anche nella commedia deve interpretare il ruolo del marito tradito, non riesce a controllarsi, e riprende a minacciare Nedda per sapere il nome del suo amante. Il pubblico inizialmente non capisce, pensa che tutto faccia parte dello spettacolo, e li applaude. Ma la situazione degenera, finché non diventa chiaro a tutti che non stanno recitando affatto. Beppe vorrebbe interrompere lo spettacolo, ma Tonio lo frena perché vuole vedere l’esito della sua vendetta. Canio finisce col pugnalare Nedda in scena, e uccide anche Silvio, venuto in suo soccorso. Poi si gira verso il pubblico ed esclama ‘La commedia è finita!’. Pietà e umanità confermano il libretto originale dell’opera buffa in due atti. E voi, piuttosto che le nostre povere gabbane d’istrioni, le nostr’anime considerate,considerate, instaura rapporto anche se timido con lo spettatore. I cantanti Rebeka Lokar (Nedda), Fabio Sartori (Canio), Fabián Veloz (Tonio), David Astronga (Peppe), Tommaso Barea (Silvio) manifestano un’interpretazione discreta, ma non emozionano come dovrebbero. Il pubblico plaude al tenore Fabio Sartori che con la sua espressività e il registro acuto e squillante restituisce la natura del personaggio (Vesti la giubba). Applausi anche per Rebeka Lokar nel ruolo di Nedda, che interpreta qual fiamma avea nel guardo con voce fine, puntuale e controllata. Lodevole il duetto Nedda-Silvio anche se con qualche perplessità nell’esecuzione solista in successione. Le vicende di Colombina, Pagliaccio, Taddeo e Arlecchino la loro Commedia dell’arte si alternano all’entrata del cinema. Il dramma privato nella compagnia di Canio si avvicina alla crisi dello spettacolo itinerante, sorpassato dall’ascesa del cinematografo. Un dramma scenico che conduce verso un finale emblematico dove da un lato Canio come da da libretto uccide per gelosia Nedda e Silvio, mentre Tonio, qui per una libera interpretazione del regista, decide di togliersi la vita. Una tragedia nella tragedia dove la commedia finisce e anche l’opera stessa che accoglie un timido applauso da parte del pubblico, forse non contento del doppio finale o rattristato per la doppia morte dell’arte (e forse anche del cinema), una visione contemporanea che ci lascia una profonda riflessione e poca speranza. La serata del MOF 2022 si è alternata così tra la magia espressiva di Charlie Chaplin e le sue smorfie dove il pubblico del circo ride di Charlot, scambiato per un clown, il quale non ha la minima idea (o intenzione) di essere la causa di tanto riso e la tragedia della gelosia dell’opera di Leoncavallo, che Talevi ha scelto di amplificare in un doppio omicidio-suicidio. Una sfida quasi vincente, così coraggiosa, ma troppo pretenziosa, dove la vittima ancora una volta è il pubblico stesso immerso tra una commedia dell’arte e un’arte della commedia: un metateatro cinematografico che ci dona un riso amaro sciolto sulla superficie dell’arena e un sentimento di sollievo “tragico”.
Foto: Luna Simoncini