Lacrime bianche/ferite scure. Femminismo e supremazia bianca di Ruby Hamad

Tlon ha pubblicato di recente un importante saggio del 2020 di Ruby Hamad, giornalista, autrice e accademica di origini siriano-libanesi cresciuta in Australia.

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Il libro

Il titolo originale del libro è “White Tears / Brown Scars. How White Feminism Betrays Women of Colour”, tradotto in italiano in “Lacrime bianche / ferite scure. Femminismo e supremazia bianca”. La traduzione è di Dorotea Theodoli, l’evocativa copertina è di Caterina Di Paolo e la prefazione è di Nadeesha Uyangoda, che scrive nei giorni dell’uccisione di Alika Ogorchukwu e da lì parte per fare un’interessante quadro della situazione italiana su aspetti come il femminismo intersezionale, il celebre motto di Meloni “donna, madre, cristiana” o la propaganda del Ventennio fascista contro l’ “uomo nero” che aggredisce la “donna bianca”.

Il libro prende vita da un articolo scritto dalla stessa Hamad per il Guardian Australia, “How white women use strategic tears to silence women of colour” (7 maggio 2018). L’articolo denunciava il vittimismo delle donne bianche, quando una donna di colore le mette di fronte al loro razzismo. Prima di proseguire, specifichiamo che Ruby Hamad è consapevole del fatto che parlare di razza o genere sia difficile. Pertanto, in tutto il libro il controverso termine “di colore” (simile al razzista “colored”) viene usato dall’autrice non in modo descrittivo (poiché le differenze razziali non sono una realtà biologica ma un’imposizione sociale) bensì politico: “bianco” è chi usufruisce del  privilegio della “bianchezza”, “di colore” è chi ne viene escluso.

La tesi di fondo del libro, supportata da infinite storie e tanti esempi concreti, è che il femminismo non sarà davvero intersezionale finché non farà i conti con la complicità con la supremazia razzista che le donne bianche hanno dall’epoca del colonialismo e dello schiavismo, fino al tempo presente.

“La razza e il razzismo hanno sempre riguardato l’identificazione, l’esagerazione e persino l’invenzione l’invenzione di differenze per giustificare la forza bruta e l’oppressione economica. A ogni passo, la donna bianca è stata la chiave per perpetuare questa supremazia. Ha agito da cuscinetto tra il potere maschile bianco e il resto della popolazione. Ha coperto i crimini della sua società, dalla sottrazione dei bambini alle famiglie indigene alla giustificazione delle guerre imperialiste. In breve, la donna bianca era il braccio materno dell’impero”.

Lacrime bianche/ferite scure: la recensione

L’articolo di Hamad del 2018 creò un vero e proprio terremoto, reazioni forti, violente, incontrollate. Ma molte donne iniziarono a scrivere all’autrice e a raccontare le loro storie, qui riportate. Il minimo comune denominatore era una qualche donna bianca che si metteva a piangere, letteralmente, perché si sentiva attaccata dalle parole di una donna di colore, che invece era la vera persona offesa in quella determinata situazione. Una veniva allontanata dal lavoro, l’altra otteneva la promozione, oltre che il sostegno di tanti colleghi e il biasimo verso l’esagerazione presunta della reazione. Il saggio si muove tra storia e testimonianze dal presente (che includono la stessa scrittrice) ed è ormai chiaro che anche il femminismo non ha fatto abbastanza per essere davvero di tutte le persone. Vengono citati luoghi molto distanti tra loro, tutti raggiunti però dal colonialismo bianco. Hamad fa spesso riferimento, ad esempio, alle donne aborigene, le black velvet che venivano stuprate, torturate e uccise dagli uomini bianchi. Nel mentre, la giornalista di viaggi Ernestine Hill scriveva di queste donne come persone interessate solo al sesso e facili da possedere; la suffragetta Louisa Lawson le vedeva come una delle tante trasgressioni degli uomini bianchi contro le donne bianche. Questo è accaduto perché lo status di razza più evoluta, colonizzatrice, superiore, implicava anche la presenza di razze inferiori, animalesche, ipersessualizzate. Da qui il mito, ad esempio, della principessa Pocahontas, la cui vera storia viene qui narrata, ma anche la realtà delle native americane, che hanno fino a dieci volte più probabilità di essere uccise rispetto alle donne di altre etnie (il 96% di chi abusa di loro è un non nativo). Stesso discorso vale per le China Dolls: le donne asiatiche vengono viste come sottomesse, carnali, innamorate della società bianca e degli uomini bianchi. Il suo opposto è la Dragon Lady, sensuale ma anche astuta e malvagia. Ma esiste anche lo stereotipo della Mammy (come Hattie McDaniel in “Via col vento”), il contrario della donna nera arrabbiata e aggressiva (angry black woman) o della sua “cugina minore”, la angry brown woman, un’etichetta che è stata affibbiata, ad esempio, alla politica democratica Alexandria Ocasio-Cortez dai suoi detrattori. Questi sono solo alcuni dei tantissimi esempi e nomi che troverete fra le pagine di questo bel saggio. Noi ve ne consigliamo caldamente la lettura, affinché anche in Italia si possa prendere sempre più consapevolezza del fatto che la liberazione femminile, se non è per tutte, semplicemente non è.

copertina
Autore
Ruby Hamad
Casa editrice
Tlon
Anno
2022
Genere
saggistica
Formato
Brossura
Pagine
322
Traduzione
Dorotea Theodoli
ISBN
9788831498449
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Posted by Marta Lilliù

Sono nata ad Ancona nel 1985 e sono cresciuta ad Osimo. Sono laureata in Lettere (Università degli Studi di Macerata) con una tesi in Storia Moderna sulle Suppliche del XVIII sec. dell’Archivio Storico di Osimo. Sono diplomata in Pianoforte e in Clavicembalo (Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro).
Dal 2012 abito e lavoro in Liguria, dove ho approfondito l’ambito della didattica musicale (abilitandomi all’insegnamento del Pianoforte presso il Conservatorio “N.Paganini” di Genova) e della didattica speciale, cioè rivolta al Sostegno didattico ad alunni con disabilità (Università degli Studi di Genova). Ho vissuto a Chiavari e Genova. Attualmente vivo a Sestri Levante, dove annualmente si svolgono il Riviera International Film Festival e il Festival Andersen.
Sono docente di Pianoforte a tempo indeterminato a Levanto, Monterosso e Deiva Marina.
Abbandono talvolta la Liguria per muovermi tra le Marche e Londra, città in cui ricopro ufficialmente il ruolo di...zia!